Siamo davvero pronti alla rivoluzione oppure è soltanto la scettica illusione di avere qualcosa di inaccessibile? Quando il nostro mondo di libertà diventa un covo di scammer è ancora possibile parlare di libertà?
Sì, magari, vediamo troppo spesso questa parola: “scam”. Truffa. Semplice , in ogni modo, una truffa. Ma è pur vero che la libertà diventa troppo spesso un’arma di speculazione.
Quanti di voi avranno acquistato da qualcuno, da noob (novellino), magari su ebay qualche mbtc (millbitcoin) e vi sarete magari ritrovati a pagare una cifra decisamente maggiorata rispetto all’attuale valore di bitcoin; quanti di voi avranno provato ad acquistare da qualche privato senza troppo badare ai feedback (positivi, negativi o nulli) e si sono ritrovati a pagare e non ricevere quanto promesso; quanti di voi avranno venduto e sono stati oggetto di un man in the middle *
* man in the middle: tipico sniffing attuato a danno del venditore. Un soggetto terzo e (probabilmente) sconosciuto ad entrambe le parti, si interpone tra esse, intercettando i messaggi dei due. Una volta intercettati, farà in modo da sostituire la chiave pubblica dell’altro con la propria, alterando in questo modo i dati e truffando entrambe le parti. Il problema sarà che il compratore si sentirà legittimato a sporgere denuncia nei confronti del seller e le indagini di un inoltro del genere restano per ora decisamente cavillose e difficoltose.
Chi tra voi si riconosce in una di queste categorie, facilmente sentirà violata la propria libertà e minata la propria sicurezza e tralasciamo la scissione fondamentale tra gli scam subiti o probabili e bitcoin (che resta una semplice moneta ben lontana dall’insicurezza data da certe carte prepagate, da certi arrivisti a caccia del soldo facile). Ma ciò di cui vogliamo occuparci in questo articolo non è altro che quello a cui stiamo assistendo ormai da svariati giorni: i continui scam dove abbiamo uno sprovveduto compratore di bitcoin e un benefattore di bitcoin. Il benefattore si propone per la vendita di bitcoin ad un prezzo quasi stracciato. “Un vero affare!Solo un folle venderebbe a questo prezzo!” Il compratore, vittima soprattutto dell’indifferenza e della superficialità, dovrà semplicemente ricaricare una banalissima postepay. Una volta effettuata la ricarica dovrebbe ricevere bitcoin. In realtà, una volta ricevuta la ricarica postepay seguita da documento e foto della ricevuta di pagamento, il venditore farà perdere le sue tracce, lasciando il piccolo affarista a bocca asciutta. Direbbe la vittima “ma posso sporgere denuncia!”. Sì, potreste. Ma siete davvero sicuri che i dati di quella persona siano reali, che quella postepay ricaricata non sia stata clonata? Vi pare che qualcuno sparirebbe nel nulla, dandovi i suoi dati personali?
Quindi, tenendo a mente che “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, abbiate cura di verificare che il vostro venditore abbia quantomeno dei feedback positivi, abbiate cura di verificare il valore attuale di bitcoin prima di considerare un “vero affare!” quell’ offerta e cercate di ottenere quanta più trasparenza possibile dal vostro venditore. Soprattutto, cercate di contrattare.
Ma prima di chiudere qui l’articolo, vogliamo dare una dritta anche ai possessori di postepay… anzi agli ex possessori di postepay. Sporgete denuncia! ai Carabinieri o alla Polizia Postale, fate una stampa dell’estratto conto e bloccate la carta, inoltrando la richiesta di rimborso a Poste Italiane mediante raccomandata A/R all’indirizzo “Poste italiane SPA – Condirettore generale revisione interna banco posta reclami, viale Europa, 175 – 00144 Roma”.
Nella lettera di diffida spiegate l’accaduto formulando anche una richiesta di rimborso ed allegando come documentazione la denuncia, una copia della lista dei movimenti evidenziando quello disconosciuto, una copia del documento della Postepay con codice di blocco.
Ai sensi del D.lgs. 11/2011 (decreto che recepisce in Italia la direttiva 2007/64/CE sui servizi di pagamento nel mercato interno), è la società emittente ossia la Posta a dover dimostrare la frode o che l’ammanco è dovuto ad una colpa del cliente. Se la risposta insistente fosse l’inserimento del Pin, sappiate che non basta come prova sufficiente della regolarità della transazione. Infatti ai sensi dell’art. 25 comma 6, se il prestatore di servizi di pagamento non è responsabile della mancata o inesatta esecuzione di un’operazione, è tenuto, comunque, a rimborsare al pagatore l’importo
dell’operazione non eseguita o eseguita in modo inesatto.
Tale aspetto sarà da tenere in conto per la formulazione della richiesta di risarcimento.
Se le Poste continueranno a negare il pagamento, si potrà in ogni caso agire presso l’Arbitro bancario e finanziario o al Giudice di Pace competente per territorio o al Tribunale ma solo se l’ammanco è superiore ai 5.000 euro.